Ganesh e il Bambino - saluti da Betlemme, Palestina
Il pulmino turistico ci scarica in una piazzetta deserta, è quasi mezzogiorno ed il sole d’agosto è accecante. A pochi passi da noi c’è un anziano seduto davanti al suo negozio, con la faccia rugosa e cotta dal tempo, la barba incolta e gli occhi verdi che brillano in mezzo al volto magro e abbronzato. Si alza, ci fa cenno di entrare e, sebbene il tempo dedicato ai souvenir sia di solito l’epilogo delle visite organizzate, mi allontano dal gruppo e lo seguo nella penombra del locale. Lascia una scia che odora di vino e bagni non frequenti ma, nonostante l’aspetto trasandato, mi inoltro serena tra i tavoli e gli scaffali del suo deposito di chincaglierie. Quest’uomo mi ispira fiducia: il suo sguardo timido e triste e lo stato di abbandono delle merci mi fanno capire che sono pochi i turisti che riesce a convincere ad entrare. Mi sento fortunata ad essere lì. Fatico a mettere a fuoco gli oggetti, c’è poca luce, tanta confusione e polvere ovunque: succede però che la prima statuetta su